ICT & PMI


PMI italiane: 
innovazione, equivoci, rischi  

[ Abstract da pagg. 20-26 di  ICT Professional  (Giugno 2003): notiziario della Federazione delle Associazioni di Information Management ]

 

Punti di forza e debolezza di un modello imprenditoriale che sembra in crisi di identità e non sempre in grado di mantenere le posizioni.

 

Il mondo imprenditoriale italiano è rappresentato, ancor più che quello europeo, da una miriade di micro (< 10 dipendenti) e PMI (10-249 dip.) che influenzano in maniera preponderante la performance dell'economia italiana (fig. 1).

Quadro generale
Queste imprese (fig. 1) rappresentano il 99,9% delle aziende italiane, 82,2% dei dipendenti e contribuiscono al 72,5% del valore aggiunto (VA). Se consideriamo solo le micro imprese (< 10 addetti), notiamo che producono il 32,5% del VA totale ed assicurano il 47,8% dell' occupazione italiana. Pertanto, hanno grande rilevanza nell'economia italiana e non possono essere trascurate. 

La figura 2 evidenzia come la dimensione media delle aziende italiane (meno di 4 dipendenti e VA circa 138'000 €) sia inferiore alla media europea (circa 7 dipendenti e VA circa 270'000 €).

Volendo approfondire l'analisi del VA per segmento di impresa (fig. 3), si può notare come solo le micro imprese generano un valore per dipendente inferiore a quello medio europeo, mentre sia le PMI che le grandi imprese hanno valori superiori. Nonostante ciò, a causa dell'eccessiva rilevanza delle micro imprese, la media italiana rimane inferiore a quella europea: in pratica le aziende con 10 e più dipendenti non riescono a compensare i bassi valori delle micro imprese. Da questo dato si potrebbe, forse, dedurre che le PMI e le grandi imprese riescono a raggiungere risultati migliori concentrandosi sulle attività più strategiche ai fini del proprio business ed esternalizzando quelle a più basso valore aggiunto presso le micro aziende, mentre queste ultime non sembrano avere know-how sufficiente e/o tecnologie aggiornate per ottimizzare la gestione delle attività ed aumentare il livello del loro valore aggiunto.

Lo scenario italiano sembra caratterizzato da una consistente diminuzione del peso delle grandi aziende "ancora" controllate da interessi italiani oltre che da una difficile ed ancora troppo "rara" crescita dimensionale dalla categoria delle piccole a quella delle medie aziende e da questa a quella delle grandi aziende. Il successo e la cultura della PMI sono ancora strettamente legati alla persona dell'imprenditore ed associati alla sua esperienza e, solo in alcuni casi anche, a quella dei suoi più stretti collaboratori: questo crea una certa resistenza al cambiamento ed alla crescita. 

In generale, le imprese italiane sembrano avere poche ambizioni e scarsa propensione all'innovazione: 
- sono alquanto marginali nel settore della media tecnologia, con esclusione di qualche nicchia particolare (macchine per metalli, legno, ceramica, plastica, ecc.), e quasi scomparse nell' high-tech; 
- alcuni grandi gruppi stanno progressivamente passando dal settore "manufacturing" ad altri settori [utility (energia, gas, acqua, ecc.), telecomunicazioni, autostrade, ristorazione in zone riservate (aeroporti, autostrade, ecc. )] molto più sicuri e redditizi, forse perché ancora in regime di quasi monopolio; 
- la maggior parte delle altre imprese opera nei settori maturi ad alta intensità di lavoro non qualificato, facilmente terziarizzabile anche nei paesi in via di sviluppo (es.: calzaturiero, abbigliamento, tessile, mobili, ecc.).

Se analizziamo le esportazioni (fig. 4) abbiamo la conferma che il modello è caratterizzato da forte presenza nei settori "tradizionali" (ad alta intensità di lavoro non qualificato), da estrema debolezza nei settori ad alta intensità di lavoro qualificato e ad alto contenuto tecnologico, oltre che da "rigidità" come testimonia l'assenza di ogni significativa evoluzione nel tempo verso i settori più specializzati. Ciò spiega perchè la maggior parte delle imprese italiane sono sottoposte sempre più alla crescente concorrenza dei paesi emergenti. 
Nel passato il successo italiano nei settori tradizionali è consistito nello sfuggire a questa concorrenza tramite strategie di miglioramento dei prodotti e dei processi produttivi. Oggi, che anche altri paesi usano questa strategia, le imprese italiane reagiscono spostando la produzione nei paesi emergenti o abbandonando il settore "manufacturing". 
Purtroppo ciò non basta ! Per mantenere l'Italia tra i paesi più avanzati saranno necessarie strategie più creative ed aggressive orientate all'innovazione e, soprattutto, la volontà di rischiare ed investire, anche in R&S oltre che in nuovi processi di business.

Chi sono le PMI italiane
Da un punto di vista di normative e di finanziamenti per l'innovazione, sia nell'ambito dell'Unione Europea (UE) che del Governo Italiano, le PMI sono definite in maniera ufficiale non solo da numero dipendenti e fatturato, ma anche dal "requisito di indipendenza". 
La definizione italiana di PMI, sancita da una circolare (14 luglio 2000, n. 900315) del Ministero dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato, fa una differenza tra PMI industria e PMI servizi (vedere fig. 5) che non esiste a livello europeo. Tale definizione è allineata con quella europea per quanto riguarda il settore industria, ma è più restrittiva per quanto riguarda il settore servizi. 

Il "requisito di indipendenza" sancisce che il capitale o i diritti di voto non possono essere detenuti per il 25% o più da imprese non conformi alla definizione di PMI. Inoltre, se l'azienda in esame detiene, anche indirettamente, il 25% o più del capitale o dei diritti di voto di una o più imprese, i parametri (numero dei dipendenti, fatturato annuo o il totale di bilancio) per la verifica dei limiti di cui sopra sono calcolati come somma dei valori riferiti a ciascuna delle predette imprese. 
Il requisito di indipendenza è importante non solo da un punto di vista finanziario, ma anche organizzativo e culturale. Infatti, la piccola azienda controllata da una Multinazionale e/o da un Grande Gruppo differisce da una vera PMI anche perchè (se integrata nel Gruppo) ha processi, cultura, tecnologie e "modo di lavorare" simili a quelli della Casa madre (Grande Gruppo). 

E' da notare che non sempre le società di ricerca ICT seguono questa classificazione nell'effettuare le loro analisi del mercato italiano, neanche quelle italiane, e pertanto i loro dati non sono comparabili con quelli dell'Unione Europea. Inoltre, vi è il rischio di generare confusione, sia negli utenti che nei vendor, su chi sono le "vere" PMI, unici soggetti che possono accedere ad eventuali agevolazioni per lo sviluppo dell'innovazione e delle tecnologie dell'informazione. Per quanto riguarda il tema disinformazione, ricordo che, nel primo trimestre 2003, ho letto sulle due più importanti riviste ICT un articolo in cui la filiale italiana (circa 900 dipendenti) di una multinazionale europea veniva definita media impresa ed un altro in cui un Vendor americano affermava, sbagliando, che l'UE considera PMI quelle con meno di 500 dipendenti. 

Scenario IT
MATE ha condotto nella primavera 2003 per conto di Assintel un'indagine su 600 Imprese italiane per verificare l'andamento degli investimenti IT e la differenza tra la Provincia di Milano (circa un terzo delle aziende intervistate) ed il resto d'Italia. Le imprese erano comprese nel range 10-499 addetti ed operavano nei settori industria, commercio, servizi: presupposto per la partecipazione al panel è stata la presenza in azienda di un collegamento ad Internet. Si noti che le aziende con questo range di addetti sono considerate PMI in USA ma non in Europa, dove invece il limite è rappresentato da 249 dipendenti. 
I risultati MATE sono, comunque, qualitativamente interessanti anche se ottenuti usando "filtri" (segmentazioni) nord-americani e, quindi, includendo nel panel la fascia inferiore delle Grandi Imprese. MATE ha cercato di capire la propensione all'innovazione delle imprese e verificare il livello di presenza del sistema gestionale e del suo grado di apertura verso l'esterno dell'azienda. 

In Italia gli investimenti ICT (come perc. del PIL) risultano inferiore sia alla media europea che satunitense. Le previsioni per il 2003 mostrano investimenti stazionari: il 45,6% degli intervistati indica che investirà in misura uguale, il 27,4% in misura minore e solo il 27% afferma di investire in misura maggiore. Le Imprese sono tendenzialmente prudenti, mentre i vendor mostrano un certo ottimismo legato soprattutto allo sviluppo delle applicazioni che favoriscono l'integrazione di impresa. In particolare, l'ERP è indicato come l'area in cui si avrà la maggior crescita nei prossimi anni. 

Il sistema informativo principale utilizzato risulta essere costituito da PC in Rete per il 45,9 delle Imprese (il 47.8% a MI e prov.), mentre il 40% (il 39.7% MI e prov.) utilizza uno o più server dedicati su cui girano programmi particolari quali i gestionali. La maggior parte delle Imprese ha rinnovato il parco macchine tra il 2000 e il 2003, ma esiste un 45% che ha un installato antecedente al 2000, segno che l'anno 2000 e l'Euro non hanno portato ad un completo svecchiamento del parco macchine soprattutto dove esistevano già soluzioni basate su LAN. 

I principali freni all'innovazione ed all'investimento (fig. 6) sono "nessun valore percepito" e "non considerato". In pratica, alcuni (45%) prendono in esame la possibilità di un'investimento ma non riescono ad attribuire alcun valore alle soluzioni proposte e quindi a comprendere quali siano gli effettivi vantaggi, altri (25%) non prendono neanche in considerazione la possibilità di investire. Vi è anche una resistenza culturale legata all'incapacità di individuare e/o accettare nuove leve competitive che possono favorire il successo dell'azienda e richiedere l'adozione della nuova tecnologia. 

Soluzioni adottate
Le Il 92,8% afferma di avere un software gestionale (fig. 7): circa il 40% ha soluzioni a pacchetto standard ed un ulteriore 31,7% adotta soluzioni a pacchetto, ma personalizzati. Nel caso di imprese milanesi queste percentuali sono 93,3%, di cui 40,7% per le soluzioni std e 32,2% per quelle personalizzate. Questo non significa necessariamente che il mercato sia saturo: presso questo tipo di aziende un solo modulo di contabilità, o un semplice programma amministrativo, viene spesso confuso con un "vero" sistema gestionale (vedere anche indagine IDC nel di Aprile >>>). 

Le soluzioni pacchettizzate standard rispondono principalmente alle esigenze delle imprese follower, che la implementano solo quando vi è la certezza che è già stata sperimentata ed è diventata di uso comune, quindi in perfetto accordo con la loro scarsa propensione alla sperimentazione. Il 31,7% degli innovatori scelgono soluzioni costituite da pacchetti personalizzati e quindi rispondenti ad esigenze specifiche, vuoi di processo o di settore di appartenenza, che comportano la verticalizzazione del prodotto. La personalizzazione viene fatta soprattutto da terzi, quindi viene demandata all'esterno il compito di adattare il pacchetto alle esigenze proprie dell'azienda. 

Per quanto riguarda le aree coperte dal gestionale (fig. 8), l'amministrazione e contabilità è quella maggiormente coperta (il 96,4% a MI e prov. e il 95.4% per l'Italia), seguita da quelle relative agli acquisti e alla logistica (nella misura del 73,6% per MI e prov. e del 72,7% per il totale Italia). Questo fatto è ricollegabile all'obbligatorietà della tenuta dei dati contabili ed alla necessità di gestire internamente dati che vengono considerati sensibili dall'azienda. 
In particolare, si riscontra che solo il 18,8% delle Imprese intervistate (il 22,1% nell'area Milano e Provincia) rende accessibile, nei confronti di terze parti, il proprio gestionale via Rete. Da sottolineare che coloro che si ritengono innovatori sono sopra la media nel rendere accessibile dall'esterno il gestionale. 

Analizzando invece le modalità con le quali le Imprese danno accesso alle informazioni aziendali, Internet è il canale privilegiato (25% per Milano e provincia, contro il 27% per il totale Italia) rispetto a Intranet ed Extranet. L'accesso alla rete avviene tramite: 
- xDSL per il 49% (63% a MI e prov.) 
- ISDN per il 32% (18% a MI e prov.) 
- linea dedicata per il 7% (9% a MI e prov.) 
- linea telefonica per il 10% (7% a MI e prov.) 
- fibra per il 2% (3% a MI e prov.) 

Per quanto riguarda i progetti di eBusiness (fig. 9), l'attenzione del 13,7% delle Imprese (16,7% a MI e prov.) è focalizzata soprattutto sul Datawarehouse e Business Intelligence. Questo sottolinea come stia diventando sempre più importante per alcune Imprese la gestione e l'analisi dei dati aziendali a supporto delle decisioni.

Scenario in evoluzione
Se consideriamo anche altre ricerche condotte da Eurostat ed Ambosetti, notiamo che nelle PMI vi è ancora una bassa diffusione delle tecnologie ICT che non siano di base: la presenza e l'uso di tecnologia più avanzata (BI, CRM, KM, SCM, ecc.) è riscontrabile solo in alcune delle medie imprese (50-249 dip.). In pratica, si nota una scarsa propensione ad adottare tecnologie ICT che non siano a supporto dell'operatività di base (amministrazione, cedolino paga, magazzino, ecc.). 

La PMI vede solo l'uso strumentale dell'ICT, cioè percepisce l'ICT solo come strumento che risolve un problema ben chiaro. La cultura della PMI è basata ancora sul possesso individuale dell'informazione, su mentalità reattiva (non ancora pro-attiva) e scarsa pianificazione, sulla personalizzazione, sulla presenza fisica, su rapporti e processi molto formali (anche se taciti e non formalizzati), oltre che su flessibilità e creatività. Invece, le "nuove" soluzioni ICT spingono a strutturare, a formalizzare, a delegare, a condividere le informazioni, a creare ordine e pianificare: tutto ciò è un elemento di discontinuità rispetto alla cultura ed alle caratteristiche della PMI italiana. 

Le nuove generazioni imprenditoriali mostrano una certa apertura verso le tecnologie emergenti e le percepiscono come fattore di cambiamento per tutto il sistema azienda. In occasione del cambio generazionale, la tecnologia può essere un potenziale di innovazione e sviluppo anche per la PMI, ma senza una forte sponsorship del "nuovo" imprenditore, ed un contemporaneo incremento della cultura aziendale, non riuscirà mai a trasformare questa potenzialità in realtà. 

Questo universo è spesso vittima di una spirale di equivoci, forse alimentati anche dai fornitori di innovazione (metodologie, tecnologie, formazione, ecc.) che non sempre conoscono la "vera" PMI (10-249 dip.; fatturato < 50 Mln €) e non sempre sono in grado di proporre soluzioni adeguate. 

La strategia Microsoft di sviluppare soluzioni (ERP, CRM, SCM, ecc.) orientate particolarmente alla "vera" PMI e quella SAP con l'offerta di nuove soluzioni adatte anche alle piccole imprese sembrano rivoluzionare il mercato PMI a livello globale. La prospettiva potrebbe essere la creazione di un duopolio ed un'occasione persa dai vendor italiani che non sono riusciti a svilupparsi, a livello internazionale, in questo segmento nel periodo in cui i grandi player erano assenti. 

Ultima considerazione, in questo scenario potranno svolgere un ruolo fondamentale anche quei consulenti di management che conoscono la "vera" PMI per aiutarle a superare la diffidenza verso il cambiamento e l'innovazione, dovuta sia a non conoscenza delle potenzialità offerte dalle tecnologie che ad esperienze negative. Il fornitore di tecnologia e la PMI hanno spesso bisogno di un "facilitator" (il consulente di management) che sappia relazionarsi in modo opportuno e differenziato nei loro confronti: deve innanzitutto saper ascoltare i personaggi all'interno della PMI e comprendere il loro linguaggio ed i loro veri problemi, poi trasferire ai fornitori di tecnologie queste esigenze in modo opportuno e in un linguaggio adatto. Il consulente di management nell'effettuare l'analisi dei problemi e la definizione dei "needs" diventa l'agente del cambiamento culturale sia nei confronti dell'azienda-utente che del Vendor.

Oscar Pallme 

*   www.pallme.com