Economia




I Problemi del Sistema Italia (2) 

[ Abstract da pagg. 22-27 di  ICT Professional  (Novembre/Dicembre 2004): notiziario della Federazione delle Associazioni di Information Management ]

 

Nel precedente articolo abbiamo esaminiamo il periodo che va dal 1945 al 1964 (vedere pag. 18 del n° 37). Ora cerchiamo di analizzare il periodo dal 1964 al 1973.

 

Michele Salvati (docente Università Statale di Milano) è di grande aiuto avendo ripercorso i momenti più importanti della politica economica italiana di questo periodo, ricercando le ragioni e le cause di alcune grandi "occasioni mancate". In particolare, analizza i motivi dello scostamento tra lo sviluppo che ha effettivamente caratterizzato l'economia italiana e lo sviluppo che sarebbe stato altrimenti possibile, anche sulla base delle esperienze degli altri paesi europei. 
Secondo Salvati gli insuccessi sono dovuti per la maggior parte alla classe politica italiana incapace di affrontare i problemi strutturali che dal 1946 hanno afflitto il nostro paese e, invece, interessata prevalentemente alla conservazione del potere e degli interessi consolidati. /1/ 

Il periodo del centro-sinistra e del pentapartito, fu molto diverso dai periodi precedenti (1948-1964) così gloriosi e brillanti. La domanda da porsi è come mai, per un periodo così lungo (1964-1992), furono commessi errori di scarsa visione strategica e poca lungimiranza da parte di tutta la classe dirigente (imprenditori, politici, sindacati). Se si comprende questo interrogativo si comprendono molte altre cose. Alcuni dei maggiori guasti, conseguenti al rallentamento della pressione competitiva, sono avvenuti proprio in questo periodo. 

La premessa (1959-1963)
La Banca d'Italia ha mantenuto nel dopoguerra un'autonomia quasi assoluta. Solo in poche rare occasioni si piega al potere politico, come ad esempio quando Fanfani (1956) pose il veto alla nomina a direttore generale di Paolo Baffi /2/. Al suo posto venne scelto Guido Carli, un esterno con esperienze presso l'IRI, che nel 1959 succederà a Menichella come Governatore della Banca d'Italia e rimarrà in carica fino al 1975. 

Nel 1961 vi fu un surriscaldamento dell'economia in pieno boom: si registrarono forti aumenti della domanda interna, gli investimenti aumenteranno di oltre il 12% e i consumi delle famiglie del 7.5% (valori reali), le esportazioni ebbero un picco. Nel Nord-Ovest giunsero prossimi alla saturazione sia la capacità produttiva degli impianti sia l'occupazione. Come conseguenza i salari incominciarono ad aumentare più della produttività, il costo del lavoro si impennò e l'inflazione crebbe insieme alla conflittualità sindacale. 

Guido Carli, succeduto a Menichella, non si preoccupò tanto dell'inflazione e della Bilancia dei Pagamenti quanto dell'accumulazione di capitali e dell'autofinanziamento delle imprese. Tuttavia, mentre Menichella aveva favorito lo sviluppo mediante il contenimento dell'inflazione e la stabilità dei prezzi, Carli ritenne necessaria una politica monetaria espansiva che alimentò ulteriormente l'inflazione. Questa strategia fu illustrata nella relazione del Governatore sul 1962 che produsse un ampio dibattito tra economisti, aperto da Franco Modigliani che fu decisamente critico nei suoi confronti. Si noti che una politica monetaria meno accomodante avrebbe contenuto l'inflazione, calmierato le rivendicazioni salariali, ridotto la necessità della forte restrizione dell'autunno 1963 /3/. In realtà la motivazione delle decisioni di Carli furono più politiche che economiche: il Governatore riteneva l'esistenza dell'impresa privata seriamente minacciata dal nuovo quadro politico, dalla nazionalizzazione dell'energia elettrica, dal rafforzamento dei sindacati /4/ .

Il centro-sinistra fu spiazzato da questa "congiuntura economica" che amplificò e drammatizzò l'impatto delle riforme. La congiuntura, che richiedeva di essere affrontata con decisione, evidenziò la debolezza del centro-sinistra che abdicò alcune funzioni demandando le politiche economiche alla Banca d'Italia. Con questa nuova politica economica di Carli si chiude l'era del miracolo economico ed inizia un nuova fase molto diversa dalle precedenti /3/. Nella seconda metà degli anni '60 si ebbe una svolta nel modello di sviluppo: la ricchezza prodotta in Italia non finanziò più l'industria nazionale ma investimenti esteri a causa di ingenti esportazioni di capitali.

La crescita stentata (1963-1969)
L'agricoltura ancora depressa mentre il sistema industriale era variegato e, salvo alcuni settori più dinamici, non ancora in grado di confrontarsi alla pari con le industrie europee. Alla base di questo scenario vi erano vari fattori: insufficiente formazione e bassa competitività della forza lavoro, incerta accumulazione del capitale, estesa diffusione dell'industria pubblica, istituzioni politico-amministrative arretrate e inefficienti (soprattutto nel Sud) e una classe politica guidata dalle logiche di spartizione e di conservazione del potere. 

Dopo il 1963 i profitti tornarono a crescere con slancio per effetto della ripresa delle vendite e di un rallentamento dei costi di produzione più elevato di quello dei prezzi. In questo contesto ancora favorevole, caratterizzato da una crescita del reddito molto sostenuta (oltre il 5% dal 1964) e dal boom delle esportazioni, si registrò in Italia una crescita assai stentata, derivata dalla debole formazione del capitale e dall'andamento depressivo degli investimenti, mentre negli altri paesi europei succedeva esattamente il contrario. In pratica, pur in assenza di ostacoli reali e di barriere all'accumulazione, gli imprenditori preferirono esportare capitali all'estero invece di investire in Italia: si perse l'occasione di assecondare lo sviluppo e la crescita, dopo il periodo magico del miracolo economico /1/. 

Per comprendere questo atteggiamento, occorre ricordare che il centro-sinistra fu vissuto da una larga parte delle famiglie benestanti con lo stesso terrore con cui Napoleone e le nuove idee di democrazia furono vissute dalle famiglie regnanti dell'ottocento. In pratica il centro-sinistra creò ostacoli e barriere psicologiche prima ancora che reali. 

Giuseppe Tamburrano /5/ scrive che il tentativo di "riforma urbanistica" suscitò ostilità ancora più forte della nazionalizzazione dell'industria elettrica. Pietro Nenni annotò nel suo diario a proposito degli incontri con la DC nel luglio 1964: "La bomba scoppiò quando Moro disse, col suo solito tono distaccato, che il presidente della Repubblica non avrebbe mai firmato una legge la quale comportasse l'esproprio generalizzato dei suoli urbani". Il "balenar di sciabole" intravisto da Nenni indusse i socialisti a ripiegare. Negli anni successivi, altri episodi tenebrosi, le bombe di Milano del 1969 e la conseguente strategia della tensione, indurranno alcuni osservatori (fra i quali Antonio Cederna) a scorgere, fra le cause dei tentativi eversivi, l'opposizione a ogni ipotesi di riforma della gestione del territorio e dell'intervento pubblico in edilizia. Non è certo che questi sospetti siano fondati; però, in Italia, la nuova legge urbanistica non è mai decollata e, salvo rarissime eccezioni, non si sono mai veramente radicate la cultura e la pratica della pianificazione.

L'evoluzione mancata
La causa dell'insuccesso delle riforme fu politica, come solo politica fu l'apertura a sinistra: alla base del centro-sinistra non vi era alcun progetto serio e condiviso circa la società e l'economia, vi era solo il desiderio di occupare e conservare il potere. Era impossibile qualsiasi cambiamento senza aver prima "riformato" la classe dirigente e il sistema istituzionale per consentire ai governi quella continuità nel tempo che permettesse l'implementazione coerente dei programmi. 

Prima di effettuare le nazionalizzazioni, il centro-sinistra avrebbe dovuto affrontare e risolvere alcuni problemi urgenti: la promozione di una classe dirigente moderna che sapesse farsi portatrice di un programma lungimirante di riforma del paese; la fondazione e lo sviluppo di istituzioni politiche e sociali capaci di agevolare la modernizzazione dell'economia; la creazione di una forza lavoro tecnicamente attrezzata e competitiva e un'intensa accumulazione di capitale. 

I fattori che hanno contribuito ad ostacolare il processo di cambiamento e quindi la possibilità di definire strategie più allineate con gli altri paesi europei sono attribuite da Salvati all'aggravarsi dei noti problemi strutturali del nostro paese: il sottosviluppo del Mezzogiorno; la fragilità della grande industria che è in gran parte pubblica e concentrata in una sola parte del paese; la mancanza di alternanza politica al governo con conseguente tendenza all'immobilismo. 

Nella seconda metà degli anni sessanta, la pressione competitiva si allenta ai vertici dell'industria prima con l'avvio del capitalismo assistito, poi con quel protezionismo monetario fatto di inflazione continua e svalutazioni ripetute. Si pongono le premesse per l'indebolimento delle grandi imprese italiane e la nascita di "falsi" imprenditori, con progetti industriali creati al solo scopo di accedere ai fondi pubblici. /3/ Inoltre, le Partecipazioni Statali perdono in questi anni la capacità di generare profitti: l'IRI nel 1964, l'ENI nel 1970. 

In questo periodo si diffonde la crescita dal basso, la straordinaria affermazione del "made in italy" che arricchisce il paese. Però il modello è diverso da quello avviato negli anni '50: entrano in gioco i distretti che hanno prestazioni eccezionali, ma anche specificità destinate a segnarne prima o poi i limiti. Queste specificità, con una metafora, sono paragonabili a dei giacimenti antichi del "saper fare", del gusto di produrre cose che "piacciono" al mondo. E' chiaro che la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti hanno ottimi risultati, ma poi vi è la tendenza all'esaurimento se non vengono coltivati e ricostruiti. L'altro limite del distretto è la sublimazione del "piccolo è bello" che finisce per produrre una crescita dimensionale delle imprese insufficiente per reggere la concorrenza internazionale. In pratica, è difficile consolidare successi senza crescita.

Il triste risveglio (1965-1970)
Nel 1965 solo pochi si accorgono che il capitalismo italiano perde slancio, anche se a molti era chiaro che fare soldi con l'industria è più difficile di prima. Scompaiono i protagonisti del miracolo economico e si affacciano le nuove generazioni. Sarebbe il momento giusto per cambiare modo di gestire le imprese, pianificando gli investimenti e le attività con l'obiettivo di conquistare significative quote di mercato anche all'estero. Purtroppo, nei servizi (banche, borsa, PA, ecc.) mancano uomini preparati con visioni adatte ai tempi per consigliare e supportare le imprese. 

Nel 1966, Giovani Agnelli succede al Prof. Valletta come presidente FIAT. La sua visione è all'insegna del New Deal roosweltiano e della frontiera kennediana. Purtroppo, la FIAT è solo una fabbrica-caserma e non una moderna multinazionale. Scrive Castronovo: "si scoprì che in FIAT l'esatto costo di un'auto non lo conosceva nessuno, dato che si trattava di un segreto gelosamente custodito da Valletta ... "/2/. Alla fine del 1967 la situazione è ancora rosea: fatturato in crescita del 15%, una quota del 21% nella CEE, il 6% a livello mondiale. In Italia, la quota di mercato sfiora l'80%. La produzione di auto ha raggiunto il livello record di un milione e 151 mila unità. La Fiat è la quinta industria automobilistica mondiale, preceduta dalle "3 Big" Usa (General Motors, Ford, Chrysler) e, in Europa, dalla sola Volkswagen. 

Gli Agnelli controllavano attraverso l'IFI oltre l'11% del sistema industriale italiano. I loro obiettivi erano sia di trasformare la FIAT in una moderna multinazionale, sia di rinnovare Confindustria. A tal proposito fu istituita la Fondazione Agnelli guidata da ferventi europeisti formatisi all'estero. Alla vigilia del '68 non mancavano, quindi, tentativi di rinnovamento del sistema dall'interno (Agnelli, Pirelli, Altissimo, Salza, ecc.), orientati a sviluppare una sorta di contratto sociale con il mondo politico e i sindacati. Purtroppo, questi tentativi furono visti con diffidenza dalla DC. 

L'Italia vive una stagione pasticciona e incosciente tra insensibilità della maggior parte degli imprenditori, incapaci di sviluppare nuove relazioni industriali, e massimalismo sindacale, incapace di limitare le rivendicazioni utopistiche. La classe dirigente aveva importato il modello americano di fabbrica taylorista, ma non quello di società. Il modello della catena di montaggio può dare risultati positivi solo in presenza di un sindacato collaborativo, che sa contenere le rivendicazioni, e di imprenditori moderni, che non negano aumenti salariali funzionali all'ampliamento del mercato interno. Purtroppo, anche il capitalismo più illuminato (Agnelli, Pirelli, ecc.) non riesce ad accorgersi di cosa sta per scoppiare nel 1968. 

Nel dicembre 1969 viene firmato il nuovo contratto di lavoro che prevede aumenti salariali uguali per tutti, settimana lavorativa a 40 ore e diritto di assemblea. Nel 1970 nascono il primato della politica e il concetto del salario come variabile indipendente: 1) vengono abolite le gabbie salariali tra Nord e Sud, volute in precedenza da Confindustria e dai Sindacati sul presupposto che il costo della vita fosse diverso, e 2) nasce lo Statuto dei Lavoratori. 

Nel 1966, sotto la regia di Mediobanca, la Edison si fonde con la Montecatini e nasce Montedison. Nel 1968, dopo due anni di risultati modesti, viene estromesso il vertice di origine Edison. Il governo auspica una maggior integrazione con ENI che entra nel sindacato di controllo insieme a IRI. Nel 1971 Cefis diviene presidente Montedison dopo averla scalata mediante l'ENI. Iniziano grandi cambiamenti: la Montedison si allegerisce di una parte del deficit cedendo le attività minerarie all'EGAM, l'alluminio all'EFIM, le attività alimentari Alimont alla SME. In pratica le Partecipazioni Statali diventano il ricettacolo di aziende decotte di cui i privati vogliono disfarsi. Cefis, liberatosi dei settori in perdita, inizia una campagna acquisti nel settore assicurativo e finanziario. 

La SME, ex elettrica, diventa un gruppo alimentare con marchi noti (Motta, Alemagna, Cirio, Star, Mellin, ecc.) che avrebbe potuto svolgere un ruolo positivo per lo sviluppo moderno del settore agro-alimentare. Purtroppo non ha mai avuto strategie chiare e manager idonei a promuovere i prodotti tipici italiani all'estero. 

A metà anni '60 l'Italia era il terzo produttore mondiale di frigoriferi e il primo in Europa per lavatrici e lavastoviglie. L'industria del bianco si è sviluppata al di fuori del Nord-Ovest, il suo triangolo industriale è Torino-Pordenone-Fabriano. Purtroppo questo settore fu uno dei primi ad entrare in crisi, a causa di saturazione del mercato ed eccesso di capacità produttiva, nonostante fosse uno dei settori più orientati all'export. Negli anni '70 la Ignis sarà ceduta alla Philips mentre AEG acquisterà il 20% della Zanussi. L'Italia del boom sembra in declino: falliscono sia l'integrazione tra FIAT e Citroen sia l'unione tra Pirelli e Dunlop che dovevano risolvere il problema della crescita dimensionale dei due gruppi italiani.

La grande inflazione (1970-1973)
Le cose non cambiarono di molto durante gli anni settanta, caratterizzati dalla grande inflazione, un'altra anomalia tutta italiana. Le autorità monetarie si limitarono a ripetere le strategie restrittive dei primi anni sessanta a cui vennero aggiunte alcune misure fiscali deflazionistiche. Il contesto era però mutato rispetto al 1963-64: l'eccesso di domanda era un ricordo lontano, e l'effetto traino dell'export si era arrestato. 

I governi finirono inoltre per cedere alle richieste salariali del sindacato, che generarono spinte inflazionistiche la cui gravità non venne mai percepita. Il tentativo tardivo di stabilizzazione della fine degli anni settanta, con la formazione del governo di solidarietà nazionale, non riuscì a bloccare la marcia dell'inflazione, nonostante vi siano stati alcuni effetti positivi nel campo della politica industriale e del lavoro. In quegli stessi anni, infine, la dinamica della spesa pubblica ha continuato a crescere in maniera più che sostenuta. 

Se si leggono i testi di programmazione economica scritti negli anni '70 dai vari Silos Labini o Ruffolo, si nota che il centro-sinistra aveva individuato con grande precisione quasi tutti i grandi problemi strutturali del nostro paese: Mezzogiorno, PA, sistema industriale privato troppo concentrato geograficamente nel nord-ovest, figure capitalistiche che avevano fatto il loro tempo (più redditieri che industriali), ecc. Purtroppo questi problemi non vennero mai affrontati seriamente. 

Non si comprende perchè, nonostante i problemi seri già esistenti, il centro-sinistra fu così masochista da impiegare tempo ed energia prima a creare nuovi problemi e poi a tentare di risolverli. Un esempio è l'inflazione che non è un problema strutturale profondo ma è solo un problema di accordo sulla distribuzione del reddito; accordo che non ci fu perchè politici e sindacalisti dell'epoca non si resero conto che aumenti salariali di quelle dimensioni avrebbero generato un processo inflazionistico. 

Altri paesi europei (Francia, Germania), che pure avevano avuto la stagione "folle" del '68, non ebbero simili livelli di inflazione e riuscirono a controllarla in pochi anni. In pratica si mostrarono più responsabili di noi: evitarono di creare spinte inflazionistiche e concentrarono il loro interesse sui problemi strutturali. Un esempio è la Francia: nel 1968 la situazione sia a livello studentesco sia a livello operario era molto simile a quella italiana, la differenza era che DeGaulle aveva appena fatto delle riforme istituzionali fondamentali. Inoltre, DeGaulle e Pompidou riuscirono a controllare e portare alla ragione queste tensioni: in pratica, ricondussero le richieste salariali a ciò che era compatibile e l'inflazione venne bloccata rapidamente. Il periodo 1969-1974, che da noi passò in una situazione di incertezza e di dramma, fu caratterizzato in Francia da grandi investimenti e straordinarie innovazioni: dal progetto TGV (treno ad alta velocità), allo sviluppo del piano autostradale, alla ristrutturazione di Parigi, ecc. In pratica, grazie anche ai "grand comis" formati dall'ENA (scuola superiore per funzionari pubblici), in 5 anni il governo cambiò radicalmente la Francia. 

Nel marzo 1973 cinque paesi europei (Germania, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo) decidono di ancorare reciprocamente il valore delle loro monete, si intravede l'idea di una moneta unica. L'Italia non riesce ad aderire e la lira fluttuerà liberamente svalutandosi del 15% in poche settimane: l'economia rimane a galla solo grazie alle esportazioni drogate dal cambio. Per frenare la fuga di capitali, viene istituito l'obbligo di un deposito infruttifero del 50% sugli investimenti all'estero che resterà in vigore fino al 1987. Alla fine del 1978 la svalutazione della lira ha ormai raggiunto il 50%. 

Sempre nel 1973, il PCI propone il compromesso storico tra le forze che rappresentano la maggioranza del popolo italiano per cercare di affrontare e risolvere i principali problemi economici e sociali del Paese. Si noti che negli ultimi due anni si erano avuti 5 governi, tutti bloccati su ogni piccola iniziativa sia di largo respiro per il Paese (es.: riforme istituzionali) sia di grave emergenza (recessione, crollo della lira, terrorismo in escalation). Questa proposta rappresenta in campo politico l'unica novità di questi anni, ma non avrà seguito per le riluttanze della DC, che ha subito una grave sconfitta in occasione del referendum sul divorzio, l'opposizione del PSI e i dissensi all'interno dello stesso PCI.

Il settore informatico (1959-1973)
Nel 1959, i calcolatori installati in USA erano 2'034, mentre in Europa appena 265. E' l'anno in cui Olivetti lancia sul mercato Elea 9003, primo calcolatore elettronico interamente sviluppato in Italia: si tratta di una macchina completamente transistorizzata che sul piano tecnologico pone l'azienda all'avanguardia rispetto agli altri produttori mondiali di computer. 

Nel 1961, Olivetti presenta Elea 6001, un elaboratore di medie dimensioni che verrà venduto in 170 esemplari, e inaugura il centro Ricerche e Sviluppo di Pregnana Milanese. 

Nel 1962, anno del primo convegno IBM in Italia, i calcolatori installati in USA sono circa 8'000, mentre in Europa non raggiungono ancora i 2'000 e in Italia sono solo 380. Il fatturato Usa derivante dai computer supera per la prima volta quello proveniente dagli altri prodotti e tocca il miliardo di dollari. Ross Perot fonda EDS (Elettronic Data Systems). 

L'ingresso di nuovi azionisti di riferimento (1964) e la cessione della Divisione Elettronica (1965) condizionano lo sviluppo e l'evoluzione tecnologica dell'Olivetti, ma l'impegno nei calcolatori non è abbandonato del tutto. L'attenzione si sposta verso le macchine di piccole dimensioni e l'informatica distribuita. Nel 1965 viene presento sul mercato un calcolatore da tavolo molto innovativo, programmabile con schede magnetiche: è il P101, interamente realizzato in Olivetti da un gruppo di ricercatori guidati da Pier Giorgio Perotto. Questo prodotto è considerato da molti l'antenato del personal computer anche se non era dotato di un display video, ma solo di stampa su rotolo di carta come per le normali calcolatrici eletrromeccaniche. 

Nel 1967, il governo francese vara il "Plan Calcul", piano programmatico per lo sviluppo e la diffusione di iniziative nel calcolo automatico. 
Nel 1968, compare il primissimo mouse ideato da Douglas Engelbart (Stanford Research Institute): era in legno, montato su delle rotelline. Lo stesso ricercatore realizza un word processor e sviluppa il concetto di ipertesto. 
Nel 1969, Gordon Moore (che nel '64 aveva formulato la famosa legge sulla crescita della potenza di calcolo) e Robert Noyce lasciano con altri sei tecnici la Fairchild, che avevano fondato nel '58, e si uniscono a Andy Grove per fondare Intel (Integrated Electronics). 
Nel 1970, Honeywell rileva da GE tutte le attività di informatica, inclusa la consociata italiana (ex Olivetti-Elea). 

Nel 1971, tre ingegneri elettronici di Intel, tra cui l'italiano Federico Faggin, inventano il microprocessore (4004, costo 200 US$): un pezzetino di silicio capace di contenere centinaia (migliaia, milioni nel fururo) di transistor. 
Nel 1972, cinque ex dipendenti IBM fondano in Germania SAP (Systems Analysis and Program Development). La loro vision è "to develop standard application software for real-time business processing". Dopo un anno il primo software è completato e sarà la base di partenza per lo sviluppo di altri SW che nel loro insieme costituiranno quello che passerà alla storia come "R/1 system". Entro la fine del decennio nascerà SAP R/2. 
Sempre nel 1972, nasce il primo "floppy" disk: disco magnetico "flessibile", diametro 8 pollici (più di 20 cm), che può immagazzinare fino a 120 Kb di dati. 

In occasione del convegno IBM Italia di Maggio 1973, viene stimato che i calcolatori installati in Italia avrebbero raggiunto quota 4'000 entro l'anno e 20'000 nel 1980. Gli obiettivi di "marketing" che hanno contraddistinto i convegni di IBM Italia, sono la promozione nel 1962 dell'automazione d'impresa, e nel 1973 anche della tecnologia per il rinnovamento dell'apparato statale, dei trasporti, delle comunicazioni e dei servizi in genere. 

Nell'Aprile del 1973 una rivista specializzata, Informatica70, denuncia "l'assenteismo dell'Italia dal grande giro dell'informatica", riprendendo l'accusa dell'inglese TheEconomist circa alcuni partners europei. Il disimpegno comunitario, sottolineava la rivista, ha impedito di elaborare una politica in materia d'informatica che consentisse all'ltalia di sintonizzarsi con le indicazioni emergenti in sede europea. Infatti, il persistere di una vocazione atlantica portava l'Italia a favorire più gli interessi americani che non quelli europei. Per quanto riguarda il mercato italiano nel 1973: il 56% è IBM, più del 33% Honeywell, un 3% Siemens, nessuna quota ICL (inglese).

(continua)

Oscar Pallme 

*   www.pallme.com

 

Bibliografia

1.      Michele Salvati
Occasioni mancate
Editori Laterza, 2002

2.      Ugo Bertone
Capitalisti d’Italia
Boroli Editore, 2003

3.      Giangiacomo Nardozzi
Miracolo e declino, Italia tra concorrenza e protezione
Editori Laterza, 2004

4.      Guido Carli
Cinquant'anni di vita italiana
Laterza, 1993

5.    Giuseppe Tamburrano
Storia e cronaca del centro-sinistra
Feltrinelli, 1976

6.     Luciano Gallino
La scomparsa dell’Italia industriale
Enaudi, 2003