Economia

 



I Problemi del Sistema Italia (1) 

[ Abstract da pagg. 18-24 di  ICT Professional  (Settembre/Ottobre 2004): notiziario della Federazione delle Associazioni di Information Management ]

 

Nel secondo dopoguerra l'impresa italiana è stata capace di svilupparsi e affermarsi anche a livello internazionale. 
Poi il sistema è satto penalizzato da occasioni mancate, decisioni rinviate, desiderio di protezionismo.

 

Per poter comprendere l'attuale condizione del Sistema Italia (vedere articolo a pag. 26 del n° 35) è necessario analizzare almeno gli ultimi 60 anni, suddividendoli in tre macro-periodi: 
- 1945-1964: la ricostruzione e il miracolo economico 
- 1964-1992: il masochismo della classe dirigente 
- 1992-2004: il risveglio e l'ingresso nell'area dell'euro 
che a loro volta si suddividono in vari micro-periodi. 

Secondo Nardozzi (docente di Politica Economica, Politecnico di Milano) alla base sia del miracolo economico (1959-1964) sia del declino italiano (1969-1974) vi è un'unica spiegazione: la pressione competitiva, cioè il desiderio e la spinta ad affrontare la concorrenza, attraverso tutto quello che qualifica il fare impresa, per conquistare quote di mercati che evolvono continuamente. Se questa pressione è forte il sistema produttivo si adatta continuamente ai cambiamenti del mercato con quella dinamica strutturale che costituisce la chiave della ricchezza delle nazioni. Se la pressione si affievolisce l'economia non tiene il passo dei concorrenti ed arretra nello scenario internazionale. In pratica, il miracolo economico italiano fu il risultato di un aumento di pressione competitiva, il declino di una sua diminuzione. In questo articolo esaminiamo il periodo che va dal 1945 al 1964. Nel prossimo numero analizzeremo il periodo dalla congiuntura (1964-1965) all'inizio dell'inflazione (1973).

La ricostruzione (1945-1948)
L'Italia è uscita dalla seconda guerra mondiale sconfitta e con la maggior parte delle industrie distrutte, ma aveva ancora imprenditori vitali in termini di visioni e voglia di intraprendere, soprattutto i piccoli emergenti che seppero sfruttare le opportunità offerte dalla ricostruzione. Infatti, nonostante la guerra, una piccola imprenditoria vivace (Marco Giani, Enzo Ferrari, ecc.) aveva continuato a sviluppare progetti innovativi che aiuteranno il paese a rinascere per crescita sia interna, sia esterna grazie alle esportazioni di prodotti a media ed alta tecnologia (es. macchine per la lavorazione delle materie plastiche, macchine utensili, auto sportive, ecc.). 

La grande impresa ha varie sfaccettature: la Montecatini presente con stabilimenti in tutto il territorio; altre (tipo Pirelli, Olivetti, Riva-Calzoni, FIAT, ecc.) con produzione prevalentemente al nord ma attive a livello internazionale in vari modi (produzione, vendite, o solo osservatori tecnologici); le utility e le imprese elettriche (Edison, SADE, SIP, Centrale, SME, Volturno, ecc.) presenti localmente ed abituate a posizioni di rendita. Infine vi sono le Partecipazioni Statali con il gruppo IRI che ha attività in vari settori (bancario, siderurgico, metalmeccanico, veicolistico, trasporti, cantieri navali, macchine per energia, ecc.) e con l'AGIP da cui sorgerà il gruppo Eni (1953) per iniziativa e visione strategica di Enrico Mattei. 

La classe dirigente politica ed economica (De Gasperi, Enaudi, Menichella) giocò un ruolo fondamentale (1946) nel facilitare l'ingresso dell'Italia nel nuovo ordine monetario internazionale basato sulla liberalizzazione commerciale e l'integrazione economica con l'Europa /1/. Inoltre, l'abbattimento dell'inflazione (100% all'anno) permise la stabilizzazione del cambio con il dollaro, il riequilibrio della Bilancia dei Pagamenti, la ricostituzione delle riserve in valuta estera: condizioni necessarie per un'attività imprenditoriale sana non distorta da forti oscillazioni dei prezzi nè inquinata da possibilità speculative. Ciò permise l'ampliamento del mercato e l'accumulazione del capitale anche in una fase di elevata concorrenza. 

Per quanto riguarda le Partecipazioni Statali, prevalse la tesi del loro mantenimento nell'area pubblica anche a causa dell'indisponibilità di capitali privati necessari per rilevarle/1/. A tal proposito è significativa la dichiarazione di Angelo Costa (Presidente Confindustria): "Se si potesse pensare che l'industria privata fosse in grado di assorbire l'IRI, potremmo dire: liquidiamo l'IRI e facciamolo assorbire dai privati. Ma oggi non possiamo immaginare un'industria privata che sia in grado di prendere, per esempio, una Ansaldo" /2/. Si sviluppò, anche, l'idea che le Partecipazioni Statali potessero contribuire attivamente allo sviluppo industriale mediante investimenti sia in settori innovativi sia in settori di base per sopperire alle inefficienze della grande industria privata più orientata verso settori di rendita. /1/ 

La visione della grande impresa privata, salvo poche eccezioni, era molto limitata. Secondo Angelo Costa: "Noi non potremmo mai pretendere di fare, salvo in alcuni casi, della grande industria in quanto sussistono tuttora le cause che la impediscono e la rendono innaturale" /2/. Per i vertici della EDISON la riconversione industriale doveva basarsi sul binomio edilizia-elettricità. Per Giovanni Falk si doveva puntare sulle esportazioni tradizionali (semilavorati, alimentari, materie prime) senza nutrire troppe ambizioni di quote di mercato significative. Diversa la posizione della Montecatini e della Pirelli: la prima favorevole ad una politica di programmazione che tenesse conto della necesità di industrializzare il Sud e di conquistare quote del commercio estero, la seconda aperta alla programmazione e alla concertazione con il sindacato interno in cambio di mano libera per straordinari e flessibilità./3/

Lo sviluppo (1948-1958)
Al rilancio dell'economia, a parte le idee imprenditoriali, occorrevano ancora due fattori importanti: i capitali e l'energia. Al primo contribuirono sia il Piano Marshall sia un banchiere illuminato, Enrico Mattioli, alla guida della Banca Commerciale Italiana. Al secondo contribuì Enrico Mattei con il gruppo ENI. 

Alla base della crescita economica di questo periodo vi è un mix di apertura agli scambi internazionali, stabilità monetaria, attenzione allo sviluppo della libera concorrenza, orientamento delle Partecipazioni Statali all'innovazione e agli obiettivi prioritari per il rilancio dell'economia. Nel 1951 quasi il 45% della forza lavoro era ancora in agricoltura. Nel 1954 nasce l'era della TV di Stato che unificherà l'Italia e creerà gli italiani molto più rapidamente ed efficacemente di quanto avessero fatto in quasi un secolo il servizio militare, la scuola obbligatoria e la letteratura post-unitaria (Cuore, ecc.) o la radio in circa 30 anni. 

In questo periodo l'Italia fu seconda solo alla Germania in termini di crescita, stabilità dei prezzi, accumulazione di capitale. Le esportazioni registrano un forte incremento, ma la crescita non è "export led" bensì "domestic led": determinanti furono gli investimenti per la costruzione di infrastrutture pubbliche e di abitazioni. Gli investimenti in macchinari e impianti aumentarono ad un tasso medio inferiore, ma permisero un adeguamento ai livelli tecnologici internazionali e un notevole aumento della produttività. Infine si sviluppò anche la produzione di beni di consumo per l'esportazione verso i paesi a più alto reddito. 

L'industria compie il salto di qualità aiutata da salari reali contenuti, oneri fiscali minori dei concorrenti esteri e andamento costante dei prezzi delle materie prime. Inoltre, attraverso le Partecipazioni Statali e agendo più sull'offerta che sulla domanda, lo Stato dà il via a grandi progetti (acciaio a ciclo integrato, telefoni, autostrade, joint-venture petrolifere, ecc.)/3/. 

Il 1955 è l'anno in cui le grandi imprese (Montecatini, ANIC, Pirelli, ecc.) diedero il meglio di sé stesse; in particolare la Montecatini tenne a battesimo il "Moplen", il polipropilene isotattico sviluppato dal Prof. Natta (Premio Nobel 1963) in collaborazione con il Politecnico di Milano. Proprio in quegli anni una fiorente industria italiana costruttrice di macchine per materie plastiche (Negri-Bossi, Terenzio, Triulzi, Sandretto, Moi, ecc.) aiutò diverse piccole unità produttive ad uscire dal cosidetto "sottoscala" e ad assumere una vera e propria fisionomia industriale. 

Nel 1957 nasce il Mercato Comune Europeo con forte riduzione del protezionismo e conseguente notevole aumento del commercio comunitario/1/. 

In seguito agli interventi straordinari dello Stato, il Sud si trova inserito nel mercato nazionale, forse prematuramente e senza adeguata preparazione: la classe imprenditoriale del sud non è pronta a competere in un libero mercato con concorrenti più agguerriti e preparati nè a sfruttare le opportunità offerte da un mercato più ampio. Alcune grandi e medie imprese private del sud cessano le attività o vengono cedute a gruppi finanziari del centro e del nord.no 

Il miracolo economico (1959-1964)
Questo periodo fu caratterizzato da uno sviluppo straordinario e in tempi ridotti dell'economia (produttività, profitti, investimenti, salari, consumi, ecc.). La media della crescita annua del PIL sfiorò il 6.5%. Il contributo dell'export è dominante: sui mercati internazionali si affermano i produttori di macchinari (macchine utensili, per materie plastiche, per ceramica, per legno, ecc.). In Italia gli investimenti in impianti e macchinari aumentano ad un ritmo più che doppio rispetto agli anni '50 e sono concentrati nei settori metallurgico e meccanico. 

I consumi privati, grazie a cospicui aumenti delle retribuzioni, raggiungono nel 1963 una crescita di quasi il 10% (soprattutto mezzi di trasporto con aumenti medi annui del 30%, ma anche elettrodomestici) /1/. 

Per la prima volta le imprese del Nord-Ovest riscontrano una penuria di manodopera e il tasso di disoccupazione scende ai minimi storici. Aumenta la conflittualità e la forza contrattuale dei sindacati che ottengono il riconoscimento della contrattazione aziendale e notevoli incrementi nei rinnovi contrattuali (17% annuo nel settore manifatturiero, biennio 1962-63). Le imprese trasferiscono questi incrementi sui prezzi e come conseguenza l'inflazione superò il 7%. Inoltre, i conti con l'estero diventano negativi e, in seguito alle delibere del primo governo di centro-sinistra (nazionalizzazione delle imprese elettriche, cedolare sui titoli azionari, ecc.) si registra un flusso di capitali verso l'estero. 

Il centro-sinistra nacque (1962) su una contraddizione tra le idee riformiste "moderate" dei democristiani e dei repubblicani e quelle "rivoluzionarie" dei socialisti e di parte della sinistra democristiana. Le prime due puntavano solo a interventi "correttivi" delle distorsioni e degli squilibri generati dallo sviluppo di un modello non in discussione. Le ultime due volevano incidere sul modello per cambiarlo e dargli connotati socialisti. Le riforme "correttive" dovevano prender corpo attraverso la "programmazione", cui avrebbero dovuto partecipare attivamente i vari attori (incluse associazioni imprenditoriali e sindacali) e che avrebbe dovuto indicare linee guida anche per gli investimenti privati. Era un'opportunità per introdurre la politica dei redditi e porre gli interverventi programmati al riparo da tensioni salariali e sindacali. Purtroppo, gli unici effetti furono: 
1) allarmare la maggior parte degli imprenditori, che temerono una pianificazione socialista 
2) affermare il comando politico sulle Partecipazioni Statali 
3) iniziare la prassi della contrattazione tra Stato e grande impresa privata con distribuzione di sussidi pubblici. 

E' da ricordare che nello stesso anno della nascita del centro-sinistra muore (Ottobre 1962) in un incidente aereo Enrico Mattei, Presidente e fondatore del gruppo ENI. 

Al miracolo subentrò la congiuntura, crisi avuta in seguito alla stretta monetaria della Banca d'Italia (autunno 1963) per arrestare l'inflazione e riequilibrare i conti con l'estero. Gli effetti nel 1964 si notarono sia sul reddito (-2.5%) sia pesantemente sugli investimenti (-20%) che per molti anni rimasero depressi. Si noti cha la congiuntura non fu dovuta al fatto che l'Italia era rimasta senza manodopera, in quanto l'agricoltura occupava nel 1963 ancora il 24.5% della forza lavoro. Inoltre, alla fine del miracolo, vi era un dualismo economico (settoriale, salariale e territoriale) che sarà caratteristica strutturale dello sviluppo italiano. Il dualismo più importante è quello tra aziende che esportano e aziende che operano solo sul mercato interno. Le prime, situate soprattutto al nord, sono più dinamiche e ad alta produttività, capaci di competere con successo contro i concorrenti esteri. Le seconde meno dinamiche, meno abituate a una forte concorrenza e, forse, più dipendente dai finanziamenti pubblici.

Il caso Olivetti-Elea (1955-1964)
Si tratta di una delle occasioni perse dall'Italia nel settore High-Tech. L'Olivetti, leader mondiale nel settore macchine per ufficio (50'000 dipendenti: 50% in Italia, 50% in 170 paesi), decide nel 1955 di produrre e commercializzare calcolatori elettronici ed apre un proprio laboratorio di ricerche. Si noti che all'epoca solo due calcolatori erano installati in Italia, presso il Politecnico di Milano e il CNR di Roma. /4/ 

Le aziende italiane (Marzotto, MPS, FIAT, Cogne, ecc.) incominciarono ad informatizzarsi anche grazie all'Olivetti: nel 1959 viene prodotto Elea-9003, il primo calcolatore elettronico interamente italiano, e nel 1961 viene lanciato il 6001, più economico concepito per le PMI. Nel 1959 l'Olivetti incomincia a pensare globale anche per l'elettronica e compra la Underwood per penetrare il mercato USA. Il successo del 9003 e del 6001, conseguito in meno di un lustro, non era ancora sufficiente per portare al pareggio il bilancio di pertinenza della Div. Elettronica (3'000 dipendenti). Però sarebbe stata una base tecnologica e industriale più che adeguata per competere a livello internazionale nel piccolo gruppo dei produttori di mainframes, con promettenti possibilità di occupare una discreta quota di mercato. /4/ 

Negli anni successivi alla morte di Adriano Olivetti (1960), imprenditore lungimirante che aveva voluto l'ingresso nell'elettronica, l'azienda incontra difficoltà finanziarie che la famiglia non è in grado di risolvere e il controllo viene assunto da un gruppo di imprese (FIAT, Pirelli, Mediobanca, IMI, Centrale). Purtroppo questo nuovo gruppo di controllo non fu lungimirante circa le prospettive della div. Elettronica, emblematica la dichiarazione (1964) del Prof. Valletta (Presidente FIAT): "la società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l'essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare". Alle parole seguirono i fatti e la div. Elettronica fu ceduta alla General Electric. 

Luciano Gallino (professore emerito dell'Università di Torino) afferma nel suo libro/4/ che le difficoltà finanziarie furono esagerate dagli stessi attori che dovevano farvi fronte e sottolinea che gli investimenti necessari per la div. Elettronica erano modesti in confronto alle somme che saranno dissipate nei disastri della chimica e dell'elettronica di consumo. In pratica, l'uscita dell'Italia dal mondo dei grandi Vendor ICT fu dovuta a mancanza di visione strategica e di coraggio imprenditoriale. Anche la classe politica ebbe le sue colpe: 1) carenza di commesse da parte della Pubblica Amministrazione 2) Partecipazioni Statali non indirizzate verso questo settore strategico. Mentre in Italia la classe politica e finanziaria è latitante, negli stessi anni l'IBM poteva svilupparsi e diventare grande anche grazie alle cospicue e mirate commesse dell'amministrazione USA.

L'industria elettrica (1962-1964)
La nazionalizzazione di questo settore fu la condizione posta dai socialisti per la loro partecipazione al governo e fu considerata indispensabile per la lotta ai monopoli. In realtà, il modo in cui fu condotta non ridimensionò affatto i grandi gruppi di controllo che vivevano sulla rendita elettrica e trascurò i piccoli azionisti. Infatti, si decise di nazionalizzare solo gli impianti e di indennizzare (1'650 miliardi di lire dell'epoca, pari a circa 0.5% del PIL) le ex società elettriche che diventarono delle finanziarie con notevoli capitali a disposizioni. 

In tal modo, i piccoli azionisti, che avevano investito nella sicura rendita elettrica, si trovarono, senza alcuna possibilità di alternative, azionisti di società il cui scopo non era più quello originario di produrre e distribuire elettricità. Una soluzione più democratica sarebbe stata quella di offrire ai piccoli azionisti la possibilità di scegliere tra alcune alternative: 1) ricevere obbligazioni ENEL o Buoni del Tesoro 2) essere indennizzati cash 3) rimanere azionisti delle soc. ex-elettriche, ora diventate finanziarie. 

La prima alternativa avrebbe permesso di mantenere parte della somma stanziata all'interno dell'ENEL o delle casse del Tesoro, assicurando un rendimento sicuro ai possessori delle obbligazioni, con indubbi vantaggi sia per lo Stato sia per i piccoli azionisti. La scelta imposta dall'alto (terza alternativa) ebbe un forte sponsor in Guido Carli (Governatore della Banca d'Italia) che sperava di rafforzare il polo privato per contrastare lo sviluppo di quello pubblico. Purtroppo, il management delle soc. ex-elettriche era abituato a posizioni di rendita e poco adatto ad operare nel libero mercato. Questa ingente somma liquida fu dissipata in operazioni che risultarono poco profittevoli anche perchè i dirigenti chiamati a guidare le nuove acquisizioni (Cirio, Montecatini, Arrigoni, Triplex, ecc.) non sempre erano i più adatti a gestire aziende manifatturiere. 

A nessuno (Banca d'Italia, Mediobanca, Soc. ex-elettriche, ecc.) venne in mente di investire questi indennizzi nella div. Elettronica dell'Olivetti. In pratica, gli investimenti furono in settori maturi (chimica, siderurgia), che entreranno in crisi, o in settori interessanti (elettrodomestici, alimentari, distribuzione) ma acquisendo prevalentemente aziende decotte./3/ In questo modo, alcune famiglie, anche di lunga tradizione imprenditoriale, approfittarono di questa improvvisa disponibilità di fondi da investire per cedere le proprie aziende e defilarsi. Per quanto riguarda le piccole società di distribuzione dell'energia elettrica, a carattere locale e gestione familiare, ebbero storie varie. 

(continua)

Oscar Pallme 

*   www.pallme.com

 

Bibliografia

1.      Giangiacomo Nardozzi
Miracolo e declino, Italia tra concorrenza e protezione
Editori Laterza, 2004

2.      Rapporto della Commissione Economica II, Industria 2
Appendice alla relazione
Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1946 (pagg. 79-91)

3.      Ugo Bertone
Capitalisti d’Italia
Boroli Editore, 2003

4.      Luciano Gallino
La scomparsa dell’Italia industriale
Enaudi, 2003

5.      Michele Salvati
Occasioni mancate
Editori Laterza, 2002