Soluzioni & Tecnologie


Competenze per l'integrazione

[ Abstract da pag. 112-117 di  ZeroUno-Mondadori  (Dicembre 2002) ]

 

Analizziamo una proposta di Gartner in tema di integrazione delle applicazioni e delle attività di business: creare in azienda un Integration Competency Center, struttura composta da persone di diversa estrazione e diverse capacità cui affidare sia il ruolo di 'motore' aziendale dei processi integrativi, sia quello di controllo dei risultati. Supportando il management nella gestione del cambiamento.

 

SNello scenario dell'integrazione applicativa si affaccia un concetto nuovo: l'Integration Competency Center (ICC), il Centro di competenze per l'integrazione. Il termine ha una vaga assonanza con il Contact Center, già evoluzione del Call Center, ma i suoi modelli di riferimento sono di stampo organizzativo, trattandosi di un' entità creata al compito precipuo di integrare, rendere complete, le competenze delle persone che lavorano in azienda, i protagonisti dei processi organizzativi aziendali. 

In pratica, si tratta di una squadra, da tre a sette o otto persone, a seconda della dimensione dell'impresa e della complessità del progetto, che segue tutte le fasi dell'integrazione delle applicazioni, a partire dall'analisi delle esigenze interne ed esterne all'azienda e dalla costruzione della mappa comportamentale dei domini aziendali, fino al raggiungimento del nuovo assetto organizzativo. Questa squadra ha un compito ben definito: individuare e tradurre in valore pragmatico il nuovo sistema informativo aziendale 'globale' che qualcuno chiama Enterprise Nervous System e il cui concetto è stato ampliato e approfondito anche da Gartner in ambito Application Integration. 

ICC: collaborare per integrare 
La collaborazione è la modalità di lavoro dell'ICC, la sua dimensione tattica. Ma il "lavorare insieme" è anche una dimensione, oseremmo dire, fisiologica del sistema nervoso di un organismo. Quando due neuroni tra loro connessi vengono stimolati si attivano contemporaneamente; cellule e sinapsi cambiano chimicamente e ad un secondo stimolo la loro reazione sincrona risulta più intensa: i due neuroni attivati… lavorano in società e insieme reagiscono più rapidamente. Nell'organizzazione aziendale accade qualcosa di simile: l'ICC è una sorta di ganglio nervoso che reagisce sinergicamente alle istanze di cambiamento, attiva nuovi collegamenti, potenzia la collaborazione tra i settori dell'azienda. 

I requisiti necessari alla squadra d'integrazione sono numerosi e complessi e si evincono dai compiti ad essa affidati. Innanzitutto, quando un'azienda sente la necessità di impostare un progetto di integrazione delle applicazioni disponibili deve valutare con attenzione le risorse conoscitive in suo possesso. C'è chi ha competenze tecniche adeguate? E chi sa coordinare il lavoro di una pluralità di attori? E, ancora, chi è capace di formare le persone in azienda ai nuovi processi organizzativi e produttivi? 

Andiamo con ordine cominciando con il descrivere le fasi tipiche di un progetto di integrazione, che secondo Christer Forsberg, analista Gartner, si distinguono in quattro diversi periodi. 
1) Plan and Justify: è la fase preliminare, in cui si selezionano gli elementi di business che spingono all'attivazione del progetto, si individuano partner e prodotti, si procede alla ricerca delle risorse (soprattutto umane) per dare corso al progetto, si costruisce la check list dei requisiti necessari a garantire i benefici organizzativi e di business attesi dalle scelte di middelware fatte. 
2) Pilot Project: è la fase creativa e di implementazione del primo modello, destinato a trasformarsi, una volta superato l'esame, nel progetto finale, quello che entrerà in produzione. 
3) Early Adoption: è la fase di controllo e monitoraggio del progetto, con la supervisione del Centro Integrato di Competenza, che si occupa anche di esplorarne eventuali fallimenti di sezioni. 
4) Broad Adoption: è la fase della maturità, quella in cui il progetto è ormai un processo a regime, le metriche sono consolidate e consentono di misurare gli indicatori di performance, l'educazione del personale è attivata e in svolgimento e il Centro di Integrato di Competenza segue l'evoluzione dell'integrazione e immagina scenari futuri..

Le risorse dell'ICC
Nella struttura descritta, la 'task force' dell'ICC entra in gioco già all'esordio del progetto, ma assume la sua fisionomia completa a partire dalla seconda fase, quella del Progetto Pilota. In questa convivono diversi gruppi di lavoro: quello che si occupa di architettura di sistema, quello che segue gli aspetti organizzativi e il team di progetto vero e proprio, che pianifica anche la scansione dei tempi. Solo nella fase di Early Adoption l'ICC acquisisce piena identità, senza sostituirsi però al gruppo dedicato all'archittettura, talvolta definito in letteratura Ict come Application Integration Competency Center. 

L'ICC è il risultato della collaborazione di personalità molto diverse tra loro. In particolare, è necessario identificare competenze in architettura di sistema, project management, data modeling, sviluppo software e coding, qualità, system administration e management. Un bell'insieme di capacità, come si vede, da reperire preferibilmente all'interno dell'azienda, anche perché, qualora il progetto dovesse fallire o fosse soggetto a interruzioni, i componenti potrebbero rientrare alle abituali attività. Nulla vieta però che al crescere delle procedure di outsourcing anche l'ICC possa nascere dalla fusione di consulenti esterni e risorse interne.

A progetto completato, l'ICC ha due precisi compiti: dimostrare i benefici del nuovo middleware e, soprattutto, motivare ed educare il personale in azienda, compito quest'ultimo molto delicato. In senso lato l'ICC può diventare la centrale di gestione del cambiamento in azienda. L'Integration Competency Center ha una dimensione tipicamente 'glocal', per usare il termine che Ralf Daherndorf nel suo libro Dopo la Democrazia (Editore Laterza) usa nel capitolo dedicato alle ambiguità di una globalizzazione che se da un lato spinge, appunto, verso il globale, induce anche a rifugiarsi, a cercare conforto in ciò e in chi ci è particolarmente vicino. 

Nel caso dell'ICC l'istanza al locale è dettata da ragioni organizzative e tattiche ma la spinta al globale è tipicamente strategica; il progetto stesso di integrazione delle applicazioni nasce dalla necessità dell'azienda di porre in atto la tensione alla globalizzazione estendendo i suoi confini. C'è di più: ogni progetto di integrazione sviluppato attraverso un ICC porta con sé una riformata visione del pensiero. Come scrive Edgar Morin in La testa ben fatta (Raffello Cortina Editore): "Conoscere e pensare non è arrivare a una verità assolutamente certa, è dialogare con l'incertezza". E il punto di forza dell'ICC sta proprio nella capacità di scovare errori, nell'abilità di identificare le incertezze e i dubbi e poi nella forza di contestualizzare queste debolezze strutturali in uno scenario globale, che è poi quello di sviluppo dell'azienda. Anche in questo senso si parla di 'ecosistema' d'azienda: si tratta di saper vedere il particolare inserito nel globale, con una capacità di sintesi che si costruisce e si matura nel tempo. 

L'ICC può essere davvero la task force capace di affiancare il management nella costruzione degli scenari evolutivi. In esso sono concentrate competenze umane, conoscitive e tecniche in grado di agire sinergicamente, potenziandosi nel lungo termine e candidandosi alla gestione dinamica del cambiamento.

Rischi e costi
Come tutti i progetti complessi, anche l’integrazione delle applicazioni prevede alcune fasi di sviluppo, cui sono associate specifiche attività che permettono di raggiungere gli obiettivi parziali della fase in esame. Nell’articolo precedente abbiamo individuato quattro fasi: Plan & Justify, per identificare la visione e le potenzialità dell’impresa e le risorse disponibili; Pilot Project, per la selezione delle soluzioni individuate e la creazione del Centro Integrato di Competenza; infine le due fasi di Early Adoption e Broad Adoption a completamento del progetto.

Tutto ciò va permeato da un approccio cognitivo cui abbiamo solo accennato, il ‘glocalismo’, quell’atteggiamento cioè che permette di agire localmente e pensare globalmente. Ogni applicazione da integrare è infatti un caso a sé, da conoscere nel particolare per poterlo poi collocare nel progetto d’integrazione globale. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. In pratica però, come suggerito dagli analisti Gartner, la via più semplice per concretizzare tale approccio è quella di rispettare l’identità delle singole applicazioni, evitando ad esempio l’integrazione diretta tra i database, spesso fonte di errori logici e sicuro fattore di moltiplicazione dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

I rischi di un progetto di integrazione applicativa sono essenzialmente di tre tipi: tecnici, organizzativi e di business.

  • I primi sono strettamente legati alle soluzioni tecnologiche adottate. Si possono controllare e ridurre con frequenti test nella fase di Early Adoption, della cui pianificazione il Centro di Competenza Integrato si può senz’altro occupare.

  • I rischi organizzativi e di business sono invece difficili da individuare, perché intimamente legati alla sfera delle persone e delle conoscenza presenti in azienda, vere protagoniste dei processi. Resistenze psicologiche all’adozione di nuove procedure e nuovi strumenti, tensioni tra i gruppi di lavoro e all’interno degli stessi, insoddisfazione latente, sfiducia più o meno palese, sono i modi in cui più frequentemente si manifesta un rischio organizzativo.

Il rimedio a questi malesseri c’è, ed è la capacità da parte del management di comunicare la vision all’origine del progetto stesso. Una risposta adatta a mitigare anche i rischi di business, come l’affievolirsi della convinzione, dell’entusiasmo, oppure le restrizioni al budget connesse ai ritardi di sviluppo del progetto o al superamento, imprevisto, delle previsioni di spesa. Insomma: una forte sponsorship del management ai progetti di integrazione è una cosa cui l’EAI non può rinunciare. 

I costi dell'integrazione 
A proposito dei problemi di superamento del budget, è chiaro che tra i rischi dell'EAI rientrano i i costi, espressione delle quattro fasi di sviluppo del progetto di integrazione. Anche questi costi si dividono in costi di sviluppo, strettamente legati agli aspetti tecnici; costi organizzativi, derivanti dalla revisione dei processi; costi di business, legati allo sviluppo della produzione. L'analisi dei costi è piuttosto complessa per la molteplicità di voci da individuare. 

Risulta comunque di grande utilità la classica divisione tra costi diretti e indiretti. 

  1. I primi comprendono i costi legati agli asset (acquisto e upgrade di hardware e software), al lavoro (management e supporto), alle licenze e ai fee (di manutenzione, outsourcing, service level agreement e così via). 

  2. L'area dei costi indiretti comprende invece voci legate alla dimensione intangibile del progetto: conoscenza, formazione e qualità. Così come un progetto di EAI agisce sull'azienda nella sua globalità, altrettanto accade ai costi. 

L'analisi dei costi può essere condotta con diverse chiavi di lettura in funzione degli obiettivi operativi, resta però e soprattutto uno strumento per pianificare l'evoluzione del progetto prima e il suo controllo poi, a implementazione avvenuta, risultando di fatto lo strumento di impostazione del ciclo di vita del progetto stesso.

L'ICC contro i costi indiretti
Il Centro di Competenza Integrato contribuisce a razionalizzare i costi di un progetto, soprattutto limitando la proliferazione dei costi indiretti. Il controllo costante delle fasi progettuali, con l'individuazione a priori e in divenire dei fattori critici, permette interventi correttivi ancora in corso d'opera, prima che il sistema di integrazione passi dal modello alla produzione. Si sa che più tardi un errore nel ciclo di vita produttivo viene individuato, maggiori sono i suoi effetti e più onerosa è la correzione. Da questo punto di vista, il Centro di Competenza è una garanzia: gli analisti Gartner hanno verificato che il pay-back di progetti di integrazione applicativa condotti con approccio sistematico, ricorrendo cioè all'uso di un ICC, è di due anni contro i tre di un approccio che non preveda un Competency Center. 

Sempre Gartner riporta che circa il 25% delle maggiori aziende statunitensi ed europee ha creato nel 2002 una task force (talvolta composta da oltre cento dipendenti, molto più, dunque, di una semplice équipe di supervisione) cui affidare la realizzazione dei progetti d'integrazione. 

Quali sono allora le voci di costo tipiche di un progetto guidato da un ICC ? Innanzitutto quelli legati alle licenze e alla manutenzione software, questi ultimi pari in media al 18% dei costi di licenza. Vi sono poi i costi di consulenza tecnica, quantificabile tra 40 e 80 ore in relazione alla complessità dei sistemi di integrazione scelti; i costi di hardware e network, in linea con quelli tipici dei progetti di e-business e, per finire, i costi dei servizi di integrazione, variabili in funzione della dimensione d'azienda (si oscilla dai 250 mila dollari per le piccole fino ai 10 milioni di dollari per le più grandi). L'approccio sistematico dell'ICC, cui si affianca l'analisi dei rischi già descritta, permette di rendere visibili i costi dell'integrazione, monitorando di fatto tutte le attività tipiche di un progetto.

Chiara Battistoni 


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